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La DIPENDENZA PATOLOGICA è una “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza”.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) definisce la “dipendenza patologica” come “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.
Per “dipendenza” si intende quindi un’alterazione del comportamento, caratterizzata dalla ricerca anomala ed eccessiva di sostanze e/o di attività, che si mantiene nonostante l’evidenza che queste siano dannose a livello psicologico, fisico, legale, familiare e relazionale.
La dipendenza, pertanto, è una condizione in cui l’abitudine di consumare una determinata sostanza o la messa in atto di un comportamento, diventa una necessità e una ricerca spasmodica del piacere o di evitamento del disagio, che si trasforma in una situazione patologica, portando la persona a perdere il controllo sul comportamento stesso; provocando sofferenza e disadattamento che si riversano sul funzionamento globale dell’individuo. Nel momento in cui viene ad instaurarsi una dipendenza, la persona perde il controllo dei propri impulsi, ha difficoltà ad astenersi, sente un desiderio spasmodico di consumo della sostanza/messa in atto del comportamento e presenta un ridotto riconoscimento dei problemi conseguenti alla dipendenza stessa (APA, 2022).
Alcuni dati generali sulla prevalenza delle dipendenze patologiche negli adolescenti italiani includono:
1) Dipendenza da alcol: secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Nazionale Alcol (ONA) nel 2019, circa il 12% degli adolescenti italiani ha segnalato episodi di binge drinking (consumo eccessivo di alcol in breve tempo) almeno una volta nell’ultimo mese
Dipendenza da tabacco: secondo l’indagine ESPAD (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) condotta nel 2019, circa il 21% degli adolescenti italiani di età compresa tra 15 e 16 anni ha segnalato di aver fumato almeno una volta nell’ultimo mese
2) Dipendenza da gioco d’azzardo: dati dall’Osservatorio Gioco Online (OGO) mostrano che l’incidenza del gioco d’azzardo tra gli adolescenti italiani è in aumento. Circa il 29,2% degli adolescenti tra i 14 e i 17 anni dichiara di aver giocato d’azzardo nell’ultimo anno, di cui il 3% presenta un disturbo da gioco d’azzardo.
Poi le dipendenze comportamentali, come l’uso eccessivo di internet o l’uso eccessivo di social media, sono sempre più riconosciute come problematiche tra gli adolescenti, anche se le stime specifiche possono variare
Perché un comportamento possa ricadere all’interno del concetto di dipendenza, deve presentare delle caratteristiche specifiche. Infatti le dipendenze, sia che siano da sostanze o comportamentali, sono caratterizzate da elevate impulsività e compulsività. L’impulsività è la predisposizione a reazioni rapide, la ridotta inibizione motoria o delle risposte, la risposta automatica agli impulsi e alle pressioni e la mancanza di riflessività nella presa decisionale.
La compulsività si riferisce, invece, a comportamenti persistenti, inappropriati per la situazione e privi di una relazione evidente con l’obiettivo generale.
Come descritto in precedenza, le dipendenze, per essere definite tali, presentano le seguenti caratteristiche:
1) Sollievo: l’utilizzo di una sostanza/l’attuazione di un determinato comportamento comporta uno stato di sollievo transitorio
2) Craving: sensazione crescente di tensione e desiderio che precede l’assunzione della sostanza o la pratica del comportamento
3) Discontrollo: una volta consolidata, la dipendenza porta a una perdita di controllo sui propri comportamenti, che diventano impulsivi, generando frustrazione nell’individuo ed elevata conflittualità
4) Tolleranza: le quantità di sostanza o di esposizione ad un comportamento messe in atto iniziano a non essere abbastanza, per cui l’organismo inizierà a richiederne sempre di più. La tolleranza comporta la progressiva necessità di incrementare la quantità di sostanza o tempo dedicato al comportamento per ottenere l’effetto piacevole iniziale, il quale tenderebbe altrimenti ad esaurirsi
5) Astinenza: una volta ridotto/interrotto l’utilizzo della sostanza/la messa in atto di un comportamento, l’individuo farà esperienza di una serie di sensazioni sgradevoli fisiche e psicologiche
6) Ricaduta: in seguito alle sindromi astinenziali o a un periodo di astinenza volontaria dalla propria dipendenza, può verificarsi il fenomeno della ricaduta. La ricaduta è definita come la tendenza a riavvicinarsi alla sostanza o ad attuare il comportamento dopo un periodo di interruzione
Le cause alla base dello sviluppo di una dipendenza sono di natura multidimensionale, caratterizzate da tre distinti fattori:
1) Fattori individuali: variabili legate alla persona, come ad esempio la presenza di specifici tratti di personalità (ricerca di sensazioni forti/nuove ecc.)
2) Fattori socio-ambientali: come la familiarità del disturbo, l’ambiente socio-culturale di riferimento o la presenza di maltrattamento in infanzia e/o adolescenza (Strathearn et al., 2020)
3) Fattori biologici: componenti genetiche ed “ereditarie”, suscettibilità neurobiologica di diversi tipi, come alterazioni nei neurotrasmettitori coinvolti nella regolazione del tono dell’umore e nella modulazione dei comportamenti orientati ad uno scopo; o lo sbilanciamento nella maturazione delle aree cerebrali deputate alla regolazione emotiva e alla presa decisionale.
L’adolescenza è un periodo di transizione dello sviluppo in cui si verificano molti cambiamenti concomitanti, tra cui la maturazione fisica, la spinta all’indipendenza, l’aumento dell’importanza dell’interazione sociale tra pari e specifici cambiamenti a livello cerebrale. Questo periodo di sviluppo è anche caratterizzato da una propensione verso i comportamenti a rischio tra i quali tutti i comportamenti caratterizzati da elevata impulsività, come ad esempio l’uso di sostanze. Vediamo perchè: lo sviluppo del cervello dell’adolescente è caratterizzato da uno squilibrio maturativo tra le aree che guidano le emozioni e l’impulsività e quelle che controllano tali variabili al fine di organizzare e pianificare il comportamento. Di fatti, durante la pubertà il sistema limbico, zona del cervello deputata alle emozioni e all’impulsività, è pienamente maturo; mentre la corteccia prefrontale, regione che serve a controllare le emozioni e l’impulsività e a pianificare il comportamento, risulta ancora immatura. Sistema limbico e corteccia prefrontale vengono rispettivamente definiti drive, in quanto coinvolto nella gestione della ricompensa, del controllo delle emozioni, degli impulsi e della memoria; e controller, poiché attiva nella cognizione e nella pianificazione di azioni. Un ulteriore sistema da tenere in considerazione quando si parla di comportamenti a rischio è quello sottostante all’harm avoidance (evitamento del danno/pericolo) posizionato nel talamo, amigdala e insula.
Dunque, alla base di una maggiore vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti a rischio e di dipendenze in adolescenza, secondo il Dual System Model (Smith et al., 2014), vi sarebbe uno sviluppo asincrono tra i sistemi neurali del drive, coinvolti nel sensation seeking, ossia la ricerca di sensazioni e di esperienze nuove e intense; e quelli del controller, responsabili della self regulation, ovvero nella modulazione dei pensieri consapevoli e delle emozioni, al fine di raggiungere un obiettivo (Smith et al., 2014). La tendenza a comportamenti a rischio non fa solamente capo ad uno squilibrio maturativo tra i due sistemi sopra citati, ma anche ad una difficoltà ad attivare il sistema dell’harm avoidance nel processo di presa decisionale.
Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è la dopamina (DA): il neurotrasmettitore che ha un ruolo fondamentale nel creare la spinta a cercare gratificazioni. La dopamina ci guida ad agire verso obiettivi, desideri e bisogni e rafforza la sensazione di piacere quando realizziamo ciò che ci preme. Il livello di base della DA in adolescenza è più basso rispetto che nel cervello adulto e questo porta i ragazzi a sentirsi annoiati più facilmente e spesso. Poiché le sostanze aumentano il rilascio di DA, possono essere particolarmente ambite per uscire da questo stato. La scarica di DA non avviene solo quando la sostanza viene assunta ma anche quando si pianifica di farlo, si pensa ad essa, si è in compagnia di persone con cui la si è assunta in passato, ci si trova negli ambienti in cui è avvenuta l’assunzione o quando ci si prepara ad assumerla. In questo modo i ragazzi diventano drammaticamente sensibili a tutto ciò che ripristina il picco dopaminergico.
Già da tempo la Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC)  si è mostrata un approccio terapeutico efficace nel trattamento delle dipendenze patologiche anche negli adolescenti (Clark & Bukstein, 2015; Carroll, 2016). Tuttavia, ci sono alcune considerazioni specifiche quando si applica la TCC agli adolescenti con dipendenze patologiche:
1) Adattamento all’età e allo sviluppo: la TCC per le dipendenze patologiche negli adolescenti deve tener conto delle sfide e dei cambiamenti tipici di questa fase dello sviluppo, come l’impulsività, la ricerca di indipendenza e identità, e la sensibilità ai fattori sociali e culturali
2) Coinvolgimento della famiglia: poiché gli adolescenti dipendenti sono spesso influenzati dall’ambiente familiare, il coinvolgimento dei genitori o dei caregiver è essenziale nella terapia. La terapia familiare può aiutare a migliorare la comunicazione, a rafforzare le relazioni familiari e a promuovere un ambiente di sostegno per il cambiamento
3) Psicoeducazione: è importante educare gli adolescenti sulle conseguenze dannose della dipendenza e sui benefici del cambiamento. Gli adolescenti possono avere una comprensione limitata dei rischi associati all’uso di sostanze o ai comportamenti di dipendenza, quindi l’educazione è fondamentale per motivarli e fornire loro una base per prendere decisioni informate
4) Focus sui trigger: gli adolescenti possono essere esposti a una varietà di trigger che li spingono a utilizzare sostanze o ad impegnarsi in comportamenti di dipendenza. La TCC aiuta gli adolescenti a identificare e gestire i trigger situazionali, sociali o emotivi che possono portarli a comportamenti di dipendenza
5) Sviluppo di abilità di coping: gli adolescenti imparano abilità di coping alternative per affrontare lo stress, l’ansia, la depressione o altri trigger emotivi senza ricorrere alla dipendenza. Questo può includere tecniche di gestione dello stress, risoluzione dei problemi, assertività e comunicazione efficace
Prevenzione delle ricadute: gli adolescenti imparano strategie per prevenire le ricadute, come la gestione dei pensieri e delle emozioni, la pianificazione di attività alternative e il coinvolgimento in attività sociali e ricreative sane.
SERGIO  DEMURU

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La Tanoressia è un disturbo che abbraccia la fissazione per l’abbronzatura. Ed è catalogata come una vera e propria dipendenza, che comporta rischi non solo per la pelle.

Se ci si espone non troppo a lungo e con le dovute precauzioni, il sole ha numerosi effetti positivi, sia sul corpo sia sullo spirito. Non è solo per questo motivo, però, che in tanti in estate si dedicano all’abbronzatura. Infatti, molti lo fanno anche per poter sfoggiare una pelle dal colorito dorato. Per qualcuno abbronzarsi è addirittura una fissazione. In questi casi si parla di tanoressia (o sindrome compulsiva da sole), problema che tende a manifestarsi principalmente durante la bella stagione.
Con l’arrivo dell’estate, anche per far fronte alle alte temperature molte persone si scoprono, esponendo alla vista degli altri parti del corpo che nei periodi più freddi dell’anno sono invece coperte dai vestiti. È per questa ragione che soprattutto in questa stagione chi soffre di tanoressia dedica gran parte del proprio tempo e delle proprie energie all’abbronzatura. “In realtà tale ossessione non è tipica solo di questo periodo dell’anno, ma permanente. Nelle stagioni in cui il clima è poco favorevole, infatti, gli individui che ne soffrono si sottopongono spesso a lampade abbronzanti” precisa la dottoressa Antonella Somma, ricercatrice senior di Psicologia Clinica all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano. L’ossessione per l’abbronzatura è un problema in primo luogo dermatologico, in quanto prolungate esposizioni al sole e ripetute lampade rappresentano un rischio per la pelle, soprattutto se non la si protegge adeguatamente.
Pur non essendo ancora stata codificata con precisione, la tanoressia è un problema della psiche che interessa principalmente due aree: quella delle dipendenze e quella dei disturbi ossessivo compulsivi. Infatti, nelle persone che ne soffrono si riscontra una ricerca esasperata e continua dell’abbronzatura e il livello raggiunto non è ritenuto mai adeguato. È come se, fissando l’obiettivo di un’abbronzatura perfetta, si alzasse di continuo l’asticella a mano a mano che la pelle diventa più scura. “La persistente insoddisfazione per il proprio colorito è causa di un disagio più o meno profondo a seconda della serietà della situazione” sottolinea la dottoressa Somma. Spesso la tanoressia è associata a un disturbo da dismorfismo corporeo (dismorfofobia), cioè la preoccupazione eccessiva per un difetto nell’aspetto esteriore, che a volte consiste in una minima anomalia e altre è addirittura immaginario. Nel caso della tanoressia, non si è mai soddisfatti del colorito della pelle, motivo per cui ci si espone spesso al sole o si effettuano di frequente lampade. L’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico (abbronzatura compresa) può favorire ansia e depressione.

SERGIO  DEMURU

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Il “comfort food” è il termine che appaga dopo aver ingerito un certo cibo. Da qui la dipendenza.

Si sente sempre più spesso parlare di “comfort food”. Termine oggi largamente utilizzato anche in Italia, per definire quei cibi che sono in grado di confortare, coccolare, appagare. Non solo al palato, ma anche a livello emotivo. Non per niente si consumano maggiormente alimenti “confortanti” e allo stesso tempo che creano dipendenza, quando si è in condizioni di stress, oppure di insoddisfazione. Il bisogno di alimentarsi, e di soddisfare il palato, in questo caso, trasla a quello psicologico, innescando una dipendenza vera e propria. E’ questa, in sintesi, quella che viene definita una food addiction, che consiste nel mangiare in maniera compulsiva determinati alimenti. La pizza è uno degli alimenti che crea maggior dipendenza. Non parliamo di prodotti sani, con materie prime selezionate e preparate dal pizzaiolo lievitista, ma di prodotti confezionati e industriali, dove la presenza di ingredienti di qualità è pressochè inesistente. Spesso le pizze già pronte industriali contengono farine ultra-raffinate, additivi che forzano la lievitazione e conservanti.
Meglio optare per pizza artigianale preparata con farina integrale e grano duro, quindi con indici glicemici più bassi, lievito madre e condimenti freschi e genuini.
Il cioccolato poi è uno degli alimenti in assoluto a creare maggiore dipendenza.
Più il contenuto di zucchero, grassi e latte in polvere è elevato, maggiore sarà il potere drogante e minore i benefici per la salute che, ad esempio, vanta il cioccolato fondente, ricco di antiossidanti che riducono lo stress ossidativo. L’ideale è consumare cioccolato fondente, con cacao superiore al 70%, in piccole dosi giornaliere di massimoun paio di quadratini, come consigliano gli esperti in nutrizione.
Anche la colazione, se preparata con prodotti confezionati e industriali, può rivelarsi un pasto particolarmente insidioso, Si pensi, ad esempio ai biscotti, ricchi di conservanti, zucchero, sale, additivi e grassi. Uno tira l’altro e, oltretutto, il loro consumo avviene in maniera molto veloce e quindi si tende ad abbuffarsi.
Meglio prepararli in casa, o controllare molto bene gli ingredienti in etichetta. Allo stesso modo i cereali per la colazione contengono alti livelli di sale, zucchero e grasso. In questo caso meglio prediligere fiocchi di cereali grezzi al naturale e mixarli a casa, con aggiunta di frutta secca, semi e frutta fresca per creare un muesli salutare.
La dopamina è un neurotrasmettitore della famiglia delle catecolamine, che esercita una funzione di controllo su: il movimento, la cosiddetta memoria di lavoro, la sensazione di piacere, la ricompensa, la produzione di prolattina, i meccanismi di regolazione del sonno, alcune facoltà cognitive e la capacità di attenzione. Nel corpo umano, la produzione di dopamina spetta, principalmente, ai cosiddetti neuroni dell’area dopaminergica e, in misura minore, alla porzione midollare delle ghiandole surrenali (o surreni).
Quando gli alimenti sono ricchi di zuccheri e grassi e, soprattutto se gli ingredienti sono un mix di essi, diventano proprio come vere droghe, per le reazioni cerebrali che esercitano, ossia un’eccessiva stimolazione della regione del cervello regolata dalla dopamina. Se il piacere si sollecita a lungo, mangiando ripetutamente questi cibi, il corpo ne richiede in continuazione e si determina la dipendenza.
Sale e grassi. I principali responsabili della dipendenza da patatine fritte. Il resto è un quadro nutrizionale pressochè inesistente: alimenti senza grandi valori nutrititivi e che, nonostante vengano mangiati in quantità, neppure saziano.
Meglio prepararle a casa, con olio buono per friggere, con poco sale ma erbe aromatiche, e magari, meglio ancora, nel forno.
Il gelato è un altro alimento drogante, sebbene le alternative sane esistano eccome. Quello confezionato, e quindi industriale, è perlopiù prodotto con grassi e zuccheri in percentuali davvero elevate. Scegliendo un prodotto artigianale, preparato con ingredienti di qualità, e consumandolo al posto del pasto, e non a chiudere come dessert, si limitano i danni da dipendenza.
Allo stesso modo, torte e merendine, rappresentano un’insidia notevole per la tentazione di grandi e bambini. La contemporanea presenza di sale, zucchero e grassi è deleteria. In questo caso meglio limitare i dolci industriali e di farli in casa, riducendo burro e zuccheri, quindi abbassando anche i livelli glicemici.
Quindi il Cibo da Fast Food. Si chiama cibo spazzatura, o junk food, ed è spesso associato a quello servito nei fast food: mangiare velocemente, alimenti spesso di scarsa qualità, fritti e ultra conditi da sale, salse, e quindi ricchi di grassi saturi e sale.
In questo caso i rischi per la salute di un consumo eccessivo e continuato di alimenti di questo genere, sono più che mai concreti e hanno a che fare con cancro al colon-retto, obesità, diabete di tipo 2, insufficienza renale, ipercolesterolemia, e problemi cardiaci. Meglio cucinare a casa un sano hamburger, limitando le farciture (non aggiungendo magari bacon o cheddar in quantità, ma preferendo ingredienti freschi come ortaggi).
La stessa dipendenza la creano anche i bocconcini o le alette di pollo fritto: la panatura croccante e saporita (grazie all’uso abbondante di miscele di sale e spezie) affiancate da salse di ogni genere. Anche in questo caso meglio optare per panatiura e fritto casalinghi, non più di due volte al mese, come suggeriscono gli esperti, o, ancor meglio, cucinare il pollo al forno.

SERGIO  DEMURU

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La “cosmeticoressia”, ovvero l’eccessiva preoccupazione per l’aspetto fisico può essere indice di una forma di dipendenza, che riguarda principalmente bambine e adolescenti.

Se ne parla da tempo soprattutto negli Stati Uniti e comincia a dilagare in molti paesi la “cosmeticoressia”, ovvero l’eccessiva preoccupazione per l’aspetto fisico e l’ossessione di soddisfare determinati standard di bellezza, che possono essere indice di una forma di dipendenza, che riguarda principalmente bambine e adolescenti. Negli ultimi mesi è diventato virale l’hashtag “SephoraKids”, dove le protagoniste dei turorial skincare sono preadolescenti, o perfino bambine, che esfoliano la pelle e applicano sieri e creme anti-age come esperte “beauty influencer”. Queste giovani sono state soprannominate “Sephora Kids” perché si aggirano nei negozi di bellezza del marchio omonimo, chiedendo consigli e maneggiando i tester.
Il fenomeno riguarda bambine e ragazze della Gen Alpha (nati tra il 2010 e il 2024) che oggi hanno tra gli 8 e i 12/13 anni. La diffusione sui social, in particolare Tik Tok, ha contribuito non poco allo sviluppo della tendenza. I giovani guardano i video TikTok di Get Ready With Me (GRWM) e si alzano presto per intraprendere laboriosi rituali prima della scuola.
Negli USA le figlie di Kim e Kourtney Kardashian di 10 e 11 anni hanno condiviso video della loro routine di cura della pelle. Divulgando la “beauty routine” delle mini influencer, TikTok ha fatto sì che molte coetanee sentissero la necessità di far parte dello stesso gruppo di ragazzine, spingendole così a recarsi nei negozi di prodotti di bellezza per emulazione. Inoltre, secondo la British Association for Dermatologists, ispirati dai social media, sembra che le bambine e le adolescenti stiano adottando rigorose routine anti-età.
Lo scorso autunno la banca d’investimento Piper Sandler ha analizzato le abitudini di acquisto di circa 9.200 adolescenti e ha scoperto che la spesa per la cura della pelle era aumentata del 19%.  Stando alle statistiche le preadolescenti guidano la crescita dell’attenzione di massa per la cura della pelle con il 49%, secondo i dati del NIQ (Consumer Intelligence Provider). Gli esperti del Centro Studi di Cosmetica Italia confermano che la Generazione Alpha è la più beauty addicted di sempre e usa più cosmetici dei suoi coetanei di dieci anni fa.
Se è chiaro che un’adolescente non ha veramente bisogno di tutti i prodotti che utilizza, è chiaro altrettanto – avvisano gli esperti – quanto sia rischiosa questa iper-applicazione di cosmetici, che nel tempo può portare a problemi cutanei, utilizzando prodotti non adatti alla loro età e alla loro pelle.
Di fronte alla “cosmeticoressia”, il ruolo degli adulti in generale, scuola e famiglia, è essenziale al fine di educare le bambine e le adolescenti all’importanza di una cura di sé, non limitata alla skincare e al make-up, ma estesa alla salute mentale e a quella fisica. Soprattutto quando, avvisano gli psicologi, a motivare la routine di bellezza sono le paure e le insicurezze legate alla nostra immagine corporea e alla nostra autostima
Il fenomeno “cosmeticoressia” non va sottovaluto, lo sostengono gli esperti, e non basta precludere alla propria figlia l’utilizzo dei social media, ma svolgere soprattutto un ruolo attivo, creare un ambiente di sostegno in cui gli adolescenti possano esplorare la propria identità senza la pressione di conformarsi a ideali irraggiungibili. Come? Incoraggiandole a svolgere attività che rafforzano l’autostima e l’accettazione di sé, come l’arte, lo sport o il volontariato, stabilendo momenti di disconnessione digitale, educando le adolescenti all’importanza di una cura di sé che vada oltre il make-up e la skincare per includere la salute mentale e quella fisica. Favorendo, sia a scuola che a casa, lo spirito critico verso modelli irraggiungibili, come quelli che si trovano in rete.
SERGIO  DEMURU

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L’abuso prolungato di steroidi anabolizzanti è una vera e propria dipendenza e va curata quanto tale.

Si definiscono steroidi anabolizzanti le sostanze in grado di riprodurre gli effetti del testosterone, ormone responsabile di connotati estetici e comportamentali caratteristici del sesso maschile.
Il fenomeno di abuso di steroidi si caratterizza per l’impiego di dosi largamente superiori a quelle terapeutiche a fini non medici, con conseguenze negative per la salute.
Si tratta di un fenomeno abbastanza diffuso in diversi territori tra le fasce adolescenziali e i giovani adulti. Il legame con l’ambiente sportivo è quello tipico, ma non l’unico.
Chi abusa di steroidi o i potenziali abusatori possono essere divisi in tre categorie, a seconda del risultato biologico che si vuole ottenere:
1) chi vuole potenziare e migliorare le prestazioni atletiche
2) chi vuole modellare il proprio corpo per essere esteticamente attraente
3) chi vuole potenziare i propri connotati di aggressività e prestanza fisica.
A seconda dello scopo sociale:
1) per scopi voluttuari
2) per scopi professionali/atletici
3) per scopi di confronto fisico.
Nell’ultima categoria rientrano anche i casi in cui i comportamenti aggressivi, in realtà antisociali, divengono però connotato positivo all’interno del proprio gruppo (es. banda, ambienti giovanili studenteschi).
L’ambiente di maggior diffusione è quello atletico-sportivo, in senso lato, ma spesso questi prodotti poi diventano oggetto di abuso per scopi estranei all’agonismo atletico o di cui la prestazione atletica è solo una componente.
L’assuntore di steroidi può essere in contatto con “la palestra” anche secondariamente, per l’allenamento necessario a far funzionare gli steroidi, ma senza alcun reale interesse per l’agonismo.
Quali sono gli effetti psichici dell’abuso? Durante l’uso gli effetti psichici più frequenti comprendono:
1) sintomi eccitatori (maniacali)
2) sintomi psicotici (deliri mistici e paranoici sono descritti).
3) Durante l’interruzione dell’uso si sviluppano sindromi depressive di intensità variabile, che comportano anche pensieri suicidari.
Gli effetti sono spesso bifasici, cioè l’effetto durante l’uso è seguito dall’effetto opposto alla sospensione dell’uso.
Così, ad esempio, le energie aumentano durante l’uso, ma si riducono alla sospensione.
Questi effetti si ripercuotono sui livelli di testosterone vale anche per il desiderio sessuale. E non mancano anche conseguenze paradossali dal punto di vista estetico e sulle caratteristiche sessuali maschili.
Per esempio nell’uomo si può avere sviluppo del seno.
Questi effetti derivano in parte dall’esaurimento della produzione spontanea di testosterone, quando l’organismo si è abituato a riceverlo in dosi massicce dall’esterno.
Alla sospensione dello steroide, la persona ha un sistema di produzione di testosterone “bloccato”. Inoltre, l’eccesso di steroidi comporta una produzione secondaria di estrogeni, in una tappa intermedia dello smaltimento, con conseguente produzione di effetti femminizzanti su alcuni organi.
Gli steroidi anabolizzanti possono comportare effetti collaterali sulla salute di chi ne abusa, quali:
1) aumento della pressione arteriosa (ipertensione), ritenzione idrica con rigonfiamento dei tessuti
2) aumento del rischio cardiovascolare
3) aumento delle masse muscolari, saldatura precoce delle estremità ossee
4) sviluppo del seno (ginecomastia) negli uomini o sua riduzione nelle donne
5) epatopatia
6) aumento di dimensioni della prostata (ipertrofia prostatica)
7) riduzione di volume dei testicoli
8) aumento delle dimensione clitoridee
9) eruzioni cutanee
10) calvizie e perdita dei peli;
11) irsutismo nelle donne
12) cambiamento del tono della voce (più “profonda”).
Gli effetti tossici possono essere aggravati dal contemporaneo impiego di altri farmaci anabolizzanti o da sostanze “mattone”. Si tratta di costituenti del muscolo che vanno a formare nuovo tessuto sotto lo stimolo dello steroide, come alcune miscele di aminoacidi.
L’ormone della crescita (GH) è ad esempio utilizzato come anabolizzante. I suoi effetti sono particolarmente negativi per l’induzione di un aumento di dimensioni del cuore, non associato ad una vascolarizzazione parallela.
Mentre parallelamente il territorio da irrorare aumenta con l’aumentare delle masse muscolari, e la forza di pompa richiesta aumenta per l’aumentare della pressione, le capacità del cuore si riducono.
Lo sviluppo delle estremità articolari, che conferisce un aspetto più “massiccio”, associato all’incremento delle masse muscolari, rende difficoltoso il movimento articolare.
La combinazione di GH e androgeni è particolarmente dannosa in questo senso.
Come si sviluppa la dipendenza da steroidi?
L’effetto tossico a medio-lungo termine sviluppa un’azione cerebrale che crea dipendenza che, a differenza di altri effetti tossici, non è reversibile spontaneamente.
Il comportamento recidivante nell’uso di steroidi viene distinto in due tipologie.
La ricerca degli effetti desiderabili degli steroidi
Questo atteggiamento comporta l’accettazione del rischio per la vita e per la salute, compreso quello psichico.
Questi casi configurano un disturbo mentale paragonabile all’anoressia nervosa, in cui il controllo della forma fisica è perseguito attraverso la forzatura della stessa nel senso dell’aumento della massa muscolare.
L’interesse del soggetto è incentrato sulla percezione della forma fisica come soddisfacente, spesso al di là di risultati oggettivi limitati e vere e proprie deformità acquisite per lo sviluppo disarmonico di alcuni gruppi muscolari. A questo fanno seguito i limiti funzionali imposti dallo squilibrio anatomico tra muscolo e apparato osteo-articolare.
Per indicare questa condizione ossessiva per aumentare la massa muscolare si può utilizzare lo schema diagnostico della dismorfofobia, così come quello dell’anoressia nervosa. Gli steroidi divengono sostanze problematiche come lo sono, per i soggetti anoressici, gli anoressizzanti, i diuretici e i lassativi.
Può esserci la vigoressia e l’ossessione per la massa muscolare. Questa eventualità configura una dipendenza da steoridi. Gli steroidi anabolizzanti sono sostanze d’abuso che diventano tali tramite una fase iniziale di uso strumentale.
Le droghe classiche, infatti, sono utilizzate per lo più per produrre euforia e piacere e inducono dipendenza tramite questo tipo di legame.
In alcuni casi, come nella dipendenza da morfina, la ragione iniziale dell’uso era quella di controllare il dolore, ma l’azione della sostanza sul cervello produce un legame che prosegue poi in maniera indipendente, e costituisce appunto la dipendenza.
Altre sostanze sono inizialmente utilizzate per uno scopo piacevole senza essere identificate di per sé come “il fine”, ma per la loro azione sul cervello inducono ugualmente dipendenza.
Come nelle altre dipendenze, le dosi utilizzate e la durata dell’uso sono fattori cruciali per la dipendenza, che mediamente richiede un anno di uso regolare.
L’uso medico, che prevede dosi contenute e può semplicemente compensare condizioni di carenza, non si associa a rischio significativo di abuso.
La componente di gratificazione associata alla iper-stimolazione sarebbe un fattore cruciale per rendere il rapporto con gli steroidi relativamente “autonomo” rispetto al suo motivo iniziale.
Il dubbio sull’effettiva equivalenza della dipendenza da steroidi alle altre dipendenze è dato dal ritardo con cui gli steroidi producono i loro effetti, mentre le altre droghe devono alla rapidità del loro effetto la capacità di legare l’assuntore a sé.
In ogni caso, l’abuso di steroidi tende a diventare un poli-abuso, in cui la parte iniziale in attesa dell’arrivo dell’effetto steroideo può essere svolta da sostanze più classiche come alcol e cocaina.
Non è raro che la componente sgradevole dell’eccitamento da steroidi o la depressione da sospensione sia gestita mediante l’impiego delle stesse sostanze.
In generale, lo schema segue quello dell’abuso di stimolanti: si inizia con un effetto prevalentemente stimolante per finire in un quadro di abuso di depressori, quando la stimolazione è divenuta sgradevole e i sintomi ansiosi e depressivi prevalenti.
L’aspetto più difficile da capire nella dipendenza da steroidi sta nel distinguere la psicologia dell’uso iniziale, finalizzato a sviluppare le masse muscolari e le prestazioni sessuali, e quel che accade in seguito, cioè la dipendenza, che diventa un problema indipendente.
Nei programmi di intervento sulla dipendenza da steroidi, l’aumentata conoscenza degli effetti negativi non modifica il rischio di ricaduta, come in ogni forma di tossicodipendenza.
SERGIO  DEMURU

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Il “cyberbullismo” va catalogato fra le dipendenze.

Il cyberbullismo consiste in atti di tipo offensivo e prevaricatorio a danno di una persona perpetrati attraverso l’utilizzo dei social network, delle chat e in generale della rete Internet.
Il termine bullismo indica la situazione nella quale una persona è esposta ripetutamente ad attivi aggressivi e violenti da parte di uno o più soggetti; l’intenzionalità del comportamento aggressivo agito, la sistematicità delle azioni aggressive e l’asimmetria tra vittima e persecutore sono i suoi aspetti distintivi.
In una società come quella attuale, in cui l’uso della tecnologia è sempre più diffuso e internet è facilmente accessibile, il bullismo ha trovato il modo di arrivare sulla rete: questo fenomeno prende il nome di cyberbullismo, che indica più precisamente tutti gli atti di tipo offensivo e prevaricatorio perpetrati attraverso l’utilizzo dei social network, delle chat e in generale della rete Internet.
Tra le caratteristiche che più spiccano c’è sicuramente l’anonimato del perpetuatore in quanto non vi è, tra questo e la sua vittima, un reale contatto vis-à-vis, che renderebbe immediate ed evidenti le conseguenze di un atto aggressivo di bullismo sulla vittima. In aggiunta, un caratteristica che contraddistingue il cyberbullismo da quello del mondo “offline” è il fatto che il primo si estende ad un numero maggiore di persone, dal momento che internet consente di interfacciarsi con chiunque in qualunque momento, abbattendo le barriere dello spazio e del tempo.
Uno degli aspetti più problematici di questo fenomeno è proprio la velocità con cui le informazioni vengono trasmesse in rete, per cui la persona rimane letteralmente invischiata e incapace di liberarsi dalla tela costruita da questo macchinoso mondo virtuale. Il cyberbullismo purtroppo è capace di diffondere in pochissimi secondi qualsiasi messaggio, immagine, video, anche a contenuto sessuale, con l’aggravante di rendere colui che dà inizio alle danze completamente o in gran parte ignaro delle conseguenze di un simile gesto. Non è da dimenticare che non sempre i genitorihanno la possibilità di accorgersi facilmente di queste dinamiche, spesso rinchiuse in uno smartphone che ormai viene concesso a bambini e ragazzisempre più precocemente. Una particolare forma di cyberbullismo è quella legata al “sexting”, ossia l’inviare foto in pose sexy, spesso in unione a messaggi o video dai contenuti sessualmente espliciti. Il “sexting” si può trasformare in una potente arma quando chi riceve le foto le rende pubbliche sul web, allo scopo di danneggiare la reputazione dell’altra persona. Un fenomeno altamente preoccupante, indice di allarme sia per i genitori che per gli educatori. In un momento storico così confuso, è necessaria un’educazione sana e profonda ai sentimenti, un’alfabetizzazione emotiva che deve partire dall’infanzia, per far sì che il bambino impari a conoscere i propri stati mentali, ma anche quelli altrui, unica maniera per riuscire a “mettersi nei panni dell’altro” e costruire così relazioni sane e reali. Tre le conseguenze psicologiche legate al cyberbullismo vi sono ansia, depressione e, nei casi più estremi, il suicidio e le conseguenze negative, emotive e comportamentali potrebbero persistere in modo significativo nel tempo rispetto a quelle legate al vissuto di un atto di bullismo tradizionale. E’ pertanto necessario comprendere approfonditamente il ruolo della vittimizzazione connessa al cyberbullismo per la salute mentale con il fine di offrire un adeguato supporto psicosociale a chi ne viene colpito. Nel loro studio, Kowalski, Limber & McCord (2018) sottolineano come tra le conseguenze più comuni del cyberbullismo sulla salute mentale vi siano problematiche nella regolazione emotiva, comportamentali, riduzione dell’autostima e uso di sostanze; gli autori inoltre ricordano che il cyberbullismo è correlato a problematiche psicosociali anche se rimane ancora poco chiaro se sia il cyberbullismo da solo a determinarle. Diverse vittime di cyberbullismo infatti potrebbero aver già manifestato in passato vulnerabilità preesistenti, come depressione, ansia sociale ed esclusione sociale, che fungerebbero da fattori di rischio per il cyberbullismo. Per affrontare il bullismo, una buona comunicazione tra la scuola (insegnati, dirigente etc.) e i genitori assume un ruolo centrale. Entrambi questi contesti, hanno il dovere di fornire degli esempi positivi di comportamento ai più giovani, soprattutto all’interno di un’ottica di prevenzione. Può essere utile una formazione specifica dei genitori, allo scopo di sensibilizzarli su questo tema, per evitare atteggiamenti minimizzatori e disinteressati, “Sono ragazzi”, “Stanno solo scherzando” (Belmonte, 2018). Lo stesso è valido anche per combattere il cyberbullismo, un fenomeno non sempre noto agli adulti e a bambini e ragazzi, per cui è fondamentale trasmettere informazioni e aprire e mantenere un dialogo sull’argomento. Billotto e Casadei propongono un metodo di intervento per il cyberbullismo definito metodo antibullismo 7C, dove regna sovrana la capacità genitoriale ed educativa di saper insegnare ai bimbi, fin dalle elementari, a gestire le emozioni, anche rispetto a probabili prese in giro che caratterizzano la quotidianità, affinché apprendano a gestire anche piccole frustrazioni, momenti di difficoltà relazionale, per non divenire succubi degli eventi. Tutto questo, però, deve partire innanzitutto dalla famiglia, un modello essenziale che il bambino prende come punto di riferimento e che pertanto non può caricarsi di contraddizioni, ma deve essere essa stessa capace di lavorare sulle proprie emozioni. Il metodo antibullismo 7C si caratterizza da parole chiave come consapevolezza, mantenere la calma, avere conoscenza di sé, comprensione dell’altro, ristrutturazione cognitiva della presa in giro, creatività e importanza nel far leva sul gruppo classe, anche attraverso dei piccoli giochi di role playing sia a casa che a scuola, che permettono al bambino di imparare a gestire situazioni di difficoltà, cercando di mantenere un atteggiamento empatico, gentile e assertivo.
SERGIO  DEMURU