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La “dopamina” gioca un ruolo determinante anche nelle capacità motorie e nel Parkinson.

Le capacità motorie dell’essere umano (correttezza dei movimenti, rapidità dei movimenti ecc.) dipendono dalla “dopamina” che la “substantia nigra” rilascia sotto l’azione dei gangli della base.
Infatti, se la “dopamina” rilasciata dalla “substantia nigra” è inferiore al normale, i movimenti diventano più lenti e scoordinati. Viceversa, se la “dopamina” è quantitativamente superiore al normale, il corpo umano comincia a eseguire movimenti non necessari, molto simili a dei “tic” nervosi.
Quindi, la fine regolazione del rilascio di “dopamina”, da parte della “substantia nigra”, è fondamentale affinché l’essere umano si muova correttamente, eseguendo gesti coordinati e alla giusta velocità. La “dopamina” con origine nei neuroni dopaminergici del nucleo arcuato e del nucleo paraventricolare inibisce la secrezione dell’ormone “prolattina”, da parte delle cellule lattotrope dell’ipofisi.
Com’è facilmente intuibile, l’assenza o la ridotta presenza di “dopamina” proveniente dai suddetti distretti implica una maggiore attività delle cellule lattotrope ipofisarie, quindi una maggiore produzione di “prolattina”.
La “dopamina” che inibisce la secrezione di “prolattina” prende il nome alternativo di “fattore inibente la prolattina” (PIF).
Diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che adeguati livelli di “dopamina” nella corteccia “prefrontale” migliorano la cosiddetta memoria di lavoro.
Per definizione, la memoria di lavoro è “un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi, come la comprensione, l’apprendimento e il ragionamento”.
Se i livelli di “dopamina” con origine nella corteccia prefrontale diminuiscono o aumentano, la memoria di lavoro comincia a risentirne.
La “dopamina” è anche un mediatore del piacere e della ricompensa.
Infatti, secondo attendibili studi, l’encefalo dell’essere umano rilascerebbe “dopamina“ quando “vive” circostanze o attività gradite, come per esempio un pasto a base di buon cibo o una soddisfacente attività sessuale.
I neuroni dell’area “dopaminergica” maggiormente coinvolti nei meccanismi di ricompensa e piacere sono quelli del nucleo accumbens e della corteccia prefrontale.
La “dopamina” con origine nella corteccia prefrontale è di supporto alle capacità di attenzione.
Interessanti ricerche hanno evidenziato che concentrazioni ridotte di “dopamina” nella corteccia prefrontale sono spesso associate a una condizione nota come sindrome da “deficit” di attenzione e iperattività.
Il legame tra “dopamina” e “abilità cognitive” è evidente in tutte le condizioni morbose caratterizzate da un’alterazione dei neuroni dopaminergici della corteccia prefrontale.
Nelle suddette condizioni morbose, infatti, potrebbero risultare pregiudicate – oltre alle già citate facoltà di attenzione e la memoria di lavoro – anche le funzioni neurocognitive, le capacità di “problem-solving” ecc.
La “dopamina” gioca un ruolo centrale in diverse condizioni mediche, tra cui: il morbo di Parkinson, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), la schizofrenia/psicosi e la dipendenza da alcune droghe e da alcuni farmaci.
Inoltre, secondo alcuni studi scientifici, sarebbe responsabile delle sensazioni dolorose che caratterizzano alcuni stati morbosi (fibromialgia, sindrome delle gambe senza riposo, sindrome della bocca urente) e della nausea associata al vomito.
SERGIO  DEMURU

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Il ruolo della “dopamina” nella regolazione del ritmo “sonno-veglia”.

Confermato il ruolo centrale del neurotrasmettitore “dopamina” nella regolazione del ritmo “sonno-veglia”. Al termine della notte sulla membrana delle cellule ipofisarie compaiono recettori della “dopamina” che si associano con quelli della noradrenalina, facendo diminuire la produzione di melatonina.
Anche la “dopamina” ha un ruolo centrale nella regolazione del ritmo “sonno-veglia”. La scoperta, o quanto meno la conferma di un sospetto che circolava da tempo, è stata fatta da un gruppo di ricercatori del Centro de Investigación en Biomedica Red de Enfermedades Neurodegenerativas (CIBERNED) dell’Università di Barcellona.
E’ noto che, nel definire il ritmo circadiano di “veglia e sonno”, il ruolo centrale spetta all’ipofisi, che si incarica di tradurre i segnali luminosi ricevuti dalla retina in un linguaggio comprensibile a tutto il resto dell’organismo, in primo luogo attraverso la sintesi della melatonina. Questa, prodotta e rilasciata durante la notte, aiuta a modulare l’attività metabolica del corpo durante il sonno.
Nella regolazione della sintesi e del rilascio della melatonina interviene peraltro un altro ormone, la noradrenalina, che esplica i suoi effetti legandosi ai recettori di membrana presenti sulle cellule.
Tuttavia, finora non era chiaro come questo sistema riuscisse a ottenere la capacità di rispondere con grande velocità ai ritmi di produzione e degradazione della melatonina.
I ricercatori hanno scoperto che questi recettori della “dopamina”fanno regolarmente la loro comparsa sulla membrana delle cellule ipofisarie verso la fine della notte, quando si conclude il periodo di oscurità. Pertanto la formazione di questi eteromeri è un meccanismo efficace per fermare la produzione di melatonina quando inizia il giorno ed è necessario “dare la sveglia” al cervello.
La scoperta di questa nuova funzione della “dopamina” potrebbe rivelarsi estremamente utile nella progettazione di nuovi farmaci per mitigare i disturbi del ritmo circadiano, come quelli legati al “jet lag”, nei lavoratori dei turni notturni e nei casi di disturbi del sonno in generale.
SERGIO  DEMURU

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Gioco d’azzardo in Italia: tutti i numeri di un fenomeno diffuso.

Gli studi dell’Osservatorio Nazionale e di Nomisma rilevano che, nel 2024, l’accesso al gioco d’azzardo è in forte crescita soprattutto tra i giovani appartenenti alla Generazione Zeta e gli over 65.
Le statistiche riportano che le scommesse sono aumentate del 21%, e che la fascia di età che gioca con maggior frequenza sono gli adulti, circa il 60% dei partecipanti allo studio.
Vediamo, in particolare, l’approccio e le modalità di gioco della Generazione Zeta e degli over 65.
L’Osservatorio del Gioco d’Azzardo ha rilevato che, nel 2023, il 42% dei giovani, compresi tra i 14 e i 19 anni, ha iniziato a praticare il gioco d’azzardo.
Sono dati moderatamente positivi, poiché nel 2018 la percentuale dei giovani si attestava al 48% e nel 2014 era ben il 56%. Gli ultimi dati rilevano che il 5% dei ragazzi è un frequent player, cioè un giocatore che scommette almeno una volta alla settimana, mentre solo l’1% gioca con una frequenza giornaliera.
Le ragioni per cui la Generazione Zeta si avvicina al gioco d’azzardo sono la curiosità e il divertimento, mentre è leggermente più bassa la percentuale di chi scommette per bisogno di denaro e per le vincite facili.
Il 17% dei ragazzi che si avvicina al gioco d’azzardo sono spinti dall’esempio di un genitore o parente che scommette con costanza, mentre il 12% inizia a scommettere perché lo fanno anche i suoi amici.
Tra gli under 19 è più frequente il gioco online, soprattutto per quanto riguarda le scommesse sportive, una pratica alimentata anche dalle limitazioni della pandemia; mentre la spesa media settimanale per le scommesse non supera i 5 euro.
Se volessimo fare un “identikit” di un giovane giocatore problematico sarebbe rappresentato da un maschio maggiorenne, con basso rendimento scolastico, abitante di una regione del sud e con parenti e amici giocatori.
Il gioco d’azzardo è in crescita anche tra gli over 65, definiti come la Silver Age, una fascia di età dove, per 6 giocatori su 10, le scommesse sono delle abitudini consolidate da più di 10 anni.
Nel corso del 2020, inoltre, il 25% degli over 65 è entrato nel mondo delle scommesse, con una frequenza di almeno una giocata al mese.
La Silver Age si avvicina al gioco per curiosità, per divertimento e per distrarsi dai problemi; predilige le scommesse nei luoghi fisici e solo il 3% degli anziani pratica scommesse online. Gli over 65 che scommettono sono principalmente uomini e la maggior parte è residente al sud, nelle isole e nella zona nord ovest del paese. I giochi più praticati sono il gratta e vinci, il lotto e le scommesse sportive.
Il volume di gioco, poi, è piuttosto equilibrato: il 13% spende anche più di 10 euro alla settimana, mentre il 42% non supera i 3 euro per scommessa.
Questo dato però non esclude la presenza di giocatori problematici: anche gli over 65 possono sviluppare una dipendenza da gioco d’azzardo, spinta dal continuo giocare per recuperare i soldi persi o per ripagare i prestiti contratti per scommettere.
Gli studi riportano una differenza nell’approccio al gioco del genere femminile e del genere maschile, sia nelle modalità di gioco sia per le somme scommesse.
L’importo medio delle scommesse è di 31,6 euro per gli uomini e 22,9 euro per le donne, mentre la fascia di età fra i 25 e i 34 anni, di entrambi i sessi, è quella che spende di più per il gioco d’azzardo.
Come si è già detto, gli uomini scommettono di più rispetto alle donne, rappresentando il 51,1% rispetto al 34,4% del genere femminile.
Questo fenomeno è riscontrabile in ogni fascia di età: i giovani studenti maschi che giocano sono infatti raddoppiati, rispetto alle ragazze.
L’approccio al gioco dei due generi è, però, differente: le donne preferiscono forme di gioco come gratta e vinci, le slot machine, le sale bingo e la lotteria; gli uomini, invece, si dedicano per la gran parte alle scommesse sportive, ai giochi di carte come il blackjack e il poker.
Il totale delle scommesse è sempre più alto, con un volume complessivo di gioco che, nel 2020, ammonta a 88,38 miliardi di euro, con vincite per 75,36 miliardi di euro e perdite di 13,02 miliardi.
Le regioni italiane dove si è speso maggiormente per il gioco d’azzardo sono:
1) la Lombardia: dove si registra un ammontare di 7.204 miliardi di euro,
2) la Campania: con un ammontare di 4,349 miliardi di euro,
3) il Lazio: con un ammontare di 3,902 miliardi di euro,
4) l’Emilia Romagna: con un ammontare di 3,058 miliardi di euro.
Questi dati si riferiscono alle scommesse effettuate nella rete fisica, ovvero presso i rivenditori autorizzati, i tabacchi e le sale gioco.
L’ammontare in euro dei giochi più praticati dagli scommettitori, invece, è così suddiviso:
1) i giochi di carte e abilità registrano 37,5 miliardi di euro,
2) le new slot e video lotterie registrano 18,97 miliardi di euro,
3) le scommesse sportive e ippiche registrano 11,34 miliardi di euro,
4) la lotteria e i gratta e vinci registrano 8,17 miliardi di euro,
5) i giochi numerici registrano 1,26 miliardi di euro,
6) il Bingo registra 0,92 miliardi di euro.
Ci sono, poi, le scommesse che riguardano la rete virtuale, cioè i giochi online e betting exchange che registrano un volume di gioco pari a 3,81 miliardi di euro. La pandemia, inoltre, ha fatto registrare un forte aumento delle scommesse online, rispetto alla rete fisica.
Il Centro Torinese di Solidarietà è una comunità terapeutica per il trattamento del gioco d’azzardo patologico.
La comunità offre il sostegno di medici specializzati che inseriranno il paziente in percorsi terapeutici individuali e di gruppo, al fine di evitare ricadute e per reinserire l’individuo nella società.

SERGIO  DEMURU

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In ascesa nel mondo la dipendenza da droghe.

La dipendenza da droghe continua a crescere nel mondo, dato che non lascia ben sperare se relazionato alle giovani generazioni sempre più in balia di sostanze stupefacenti, ma anche di alcol e challenge (sfide social) che generano gravi conseguenze fino alla morte. Una narrazione che ha poco di positivo e che contribuisce a delineare un quadro complessivo drammatico. Nel 2021, il 5,8% della popolazione mondiale, pari a quasi 300 milioni di persone, ha fatto uso di stupefacenti, con un incremento che supera il 20% rispetto a dieci anni prima. Sono circa 500mila, le persone decedute a seguito di overdose o per altre ragioni riconducibili al consumo di droga. A diffondere questi dati è stato l’Ufficio delle Nazioni Unite sulla Droga e il Crimine, in occasione della Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico di stupefacenti istituita nel 1987 e che annualmente ricorre il 26 giugno.
La cannabis è la droga più usata, con una stima di 219 milioni di consumatori (4,3% della popolazione adulta globale) nel 2021. Sono 36 milioni le persone che fanno uso di anfetamine, 22 milioni di cocaina e 20 milioni quelli che fanno uso di sostanze sintetiche come, ad esempio, l’ecstasy. Certamente l’emergenza sanitaria da Covid, con due anni di isolamento e sospensione della normalità, non ha migliorato le cose. Dall’inizio del 2020, la pandemia ha avuto un impatto drammatico sul modo di vivere delle persone. In questo contesto i paesi europei, e del mondo, hanno infatti dovuto introdurre misure senza precedenti per tutelare la salute pubblica. Questa crisi ha colpito anche tutti gli aspetti del fenomeno della droga in Europa, dalla produzione, al traffico, alla distribuzione, al consumo di droghe.
La “Relazione europea sulla droga (EDR) 2021 tendenze e sviluppi” presenta infatti una panoramica di questi sviluppi illustrando i dati e le statistiche più recenti. Nel corso del 2020, ad esempio, la coltivazione di cannabis e la produzione di droghe sintetiche nell’Unione europea sono proseguite ai livelli pre-pandemici. È stata osservata una diversificazione dei circuiti del narcotraffico, con un incremento del contrabbando di cannabis ed eroina via mare, per aggirare la chiusura delle frontiere terrestri, che ha portato a grandi sequestri nei porti europei. Sono stati osservati alcuni cambiamenti nelle località di partenza della cocaina trasportata dall’America latina verso l’Europa. Tuttavia, non è stato rilevato alcun calo della fornitura; nel 2020 e all’inizio del 2021 nei porti europei sono stati segnalati sequestri di cocaina per più tonnellate, di cui 16 tonnellate ad Amburgo in Germania e 7,2 tonnellate ad Anversa in Belgio. Sembra che nel 2020 si sia mantenuta la tendenza alla coltivazione di cannabis a livello domestico, in parte per le misure di confinamento.
Sempre secondo il resoconto elaborato dall’Onu, nel 2021 quasi 40 milioni di persone in tutto il mondo erano dipendenti da droghe. Tra loro solo una persona su cinque si è sottoposta a un trattamento farmacologico, con un peggioramento della situazione negli ultimi due anni a causa della pandemia.
D’altra parte aumentano anche i decessi. Nel 2019 hanno toccato quota mezzo milione, il 17,5% in più rispetto al 2009. Quasi la metà di essi è dovuto a malattie del fegato correlate all’uso degli stupefacenti, mentre un quarto è causato da overdose. Di queste, circa i due terzi derivano dall’uso di oppioidi, che continuano a rappresentare la tipologia di droga che ha maggiore impatto sulla salute: si stima causino 12,9 milioni di anni di vita in salute persi, pari al 71% dell’impatto globale delle sostanze stupefacenti.
SERGIO  DEMURU

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La lombalgia e la corsa: buone pratiche e comportamenti da evitare.

Il concetto di dipendenza, sebbene tradizionalmente usato per descrivere una dipendenza fisica verso una sostanza, è stato recentemente applicato all’uso eccessivo di internet.
La cosiddetta “dipendenza da internet” è una problematica ancora in via di definizione che si riferisce all’uso eccessivo di internet associato a comportamento irritabile e umore negativo quando se ne è deprivati.
Questa condizione viene generalmente associata ai disturbi del controllo degli impulsi come il gioco d’azzardo patologico. Questo perché emozioni negative come ansia o stati crescenti di tensione vengono temporaneamente sostituiti da un senso di piacere o rilassamento mediante l’uso e  abuso di internet.
Alcune caratteristiche distintive o sintomi della dipendenza da internet sono:
1) Preoccupazione e inquietudine per internet
2) Necessità di aumentare il tempo speso collegati ad internet per raggiungere lo stesso grado di soddisfazione precedente
3) Ripetuti sforzi di limitare l’uso di internet
4) Irritabilità, depressione o instabilità emotiva quando l’uso di internet viene limitato
5) Passare online più tempo di quanto precedentemente stabilito
6) Mettere a repentaglio lavoro o relazioni importanti per passare del tempo su internet
7) Mentire ad altre persone circa il tempo che si passa su internet
8) Utilizzare internet come strumento di regolazione delle emozioni negative quali il senso di solitudine e la tristezza
I sintomi della dipendenza da internet paiono quindi verificarsi quando lo stato psicologico di una persona, l’attività scolastica o lavorativa e le sue interazioni sociali vengono danneggiate dall’uso eccessivo o improprio di questo medium.
Esso acquisisce nella vita della persona un’importanza centrale a scapito delle altre attività fondamentali.
Alcuni studiosi hanno suggerito l’esistenza di una dipendenza da internet di tipo specifico. In questa la persona trova gratificante solo alcuni aspetti del web, come le scommesse online, il sesso online, lo shopping o le chat.
Altre persone invece risultano dipendenti da internet in un modo più generalizzato e non legato ad alcune sue specifiche funzioni.
In generale, tuttavia, pare che le persone che sviluppano una dipendenza da internet siano quelle che ne fanno un uso orientato generalmente ad attività ricreative. Come ad esempio videogiochi online, shopping e chat. Sono meno a rischio coloro che ne fanno un uso più prettamente strumentale, legato cioè alla corrispondenza elettronica (email) e alla ricerca di informazioni.
Il fenomeno “hikikomori” è sempre più diffuso e affligge ragazzi giovani che decidono di isolarsi (nella loro stanza), chiudendo ogni rapporto con il mondo esterno.
Questi ragazzi si ritirano socialmente arrivando a sostituire la vita reale con quella virtuale: passano il loro tempo davanti al computer navigando su internet.
Nonostante il fenomeno Hikikomori sia spesso associato alla dipendenza da internet si differenzia da quest’ultima per l’egosintonicità. La dipendenza inoltre non è primaria ma secondaria al ritiro sociale.
Le ricerche più recenti indicano che non esiste un tipo specifico di persona vulnerabile allo sviluppo di una dipendenza da internet. Anche se risultano più frequentemente a rischio i giovani uomini single, gli studenti universitari, le donne di mezza età, le persone con un più basso livello di istruzione.
Sembrano inoltre più a rischio persone affette da altri disturbi psicologici quali dipendenze, depressione, timidezza estrema e bassa autostima.
La cura della dipendenza da internet passa attraverso un mirato intervento psicoterapeutico di tipo cognitivo comportamentale.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale interviene al fine di ridurre gradualmente il comportamento di dipendenza da internet. Al contempo individua dei comportamenti alternativi, sufficientemente gratificanti, che possano sostituirlo. Aiuta inoltre il soggetto a superare le sue eventuali difficoltà socio-relazionali.
Difficilmente gli psicofarmaci possono essere d’aiuto, almeno che non vi sia associato un importante livello di depressione.
SERGIO  DEMURU

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L’ipocondria è la paura di avere malattie. Essa stessa va curata per non farsi suggestionare inutilmente.

Chi soffre di ipocondria tende a interpretare le normali sensazioni corporee come segni di malattia grave, nonostante la mancanza di prove a sostegno di tali preoccupazioni.
L’ipocondria può portare a una serie di disturbi psicosomatici, in quanto i sintomi fisici percepiti sono influenzati da fattori psicologici. I soggetti ipocondriaci possono fare frequenti visite mediche, richiedere numerosi esami diagnostici e cercare costantemente conferme sulla loro salute. Nonostante gli esami medici non rilevino alcuna malattia significativa, le preoccupazioni persistono.
Dal punto di vista psicologico, l’ipocondria può essere associata all’ansia e all’ossessione sulla propria salute. Le persone affette possono sperimentare sintomi come ansia costante, attacchi di panico o attacchi d’ansia conseguenti alla paura di avere una malattia grave e difficoltà a concentrarsi su altro che non sia la propria salute.
Nel DSM-5 l’ipocondria è stata classificata come Disturbo da Ansia di Malattia. La persona affetta da ipocondria attribuisce un significato eccessivo ai propri sintomi, temendo di avere una malattia grave o una condizione medica sottostante. Una lieve e momentanea tachicardia può, per esempio, portare alla cardiofobia.
Il Disturbo da Ansia di Malattia richiede che la preoccupazione per la salute sia persistente e causi un significativo disagio o interferenza nella vita quotidiana del soggetto, il quale può per esempio:
1) cercare ogni giorno i propri sintomi su internet
2) effettuare continue visite mediche
3) sottoporsi a numerosi esami diagnostici
4) cercare rassicurazione presso conoscenti e familiari
5) evitare di andare dal medico, anche per i controlli di routine.
La preoccupazione eccessiva deve durare almeno sei mesi per soddisfare i criteri diagnostici.
Il delirio ipocondriaco è un sintomo psicotico caratterizzato da una convinzione delirante persistente di essere malato, gravemente ammalato o addirittura che un proprio organo sia morto o marcio.
Le persone con ipocondria psicotica possono trarre conclusioni errate da piccoli segni o sensazioni corporee normali, sovradimensionando il loro significato e attribuendoli a malattie gravi o malattie mortali o all’idea che alcune parti del corpo siano non funzionanti.
I soggetti affetti da questo genere di ipocondria patologica sono convinti di avere malattie incurabili o di essere morte, nonostante le prove mediche contrarie. Il delirio ipocondriaco può manifestarsi in diversi modi: alcune persone possono affermare di non avere più un cuore o di avere parti del corpo mancanti, altre possono credere di essere invulnerabili a qualsiasi forma di danno fisico o che le loro funzioni vitali siano completamente interrotte.
Questa condizione può avere un impatto significativo sulla vita quotidiana della persona e associarsi ad ansia, depressione, isolamento sociale e comportamenti autolesionistici. Una persona con ipocondria psicotica non riesce a mettere in discussione le proprie idee, che risultano molto resistenti al cambiamento.
È importante distinguere il delirio ipocondriaco dalla comune ipocondria, in cui le persone hanno paura delle malattie e di morire (tanatofobia) ma senza avere convinzioni deliranti.
Il delirio ipocondriaco è una condizione più grave e richiede un intervento clinico specializzato che può includere l’uso di farmaci antipsicotici, interventi terapeutici e il coinvolgimento di un team di professionisti della salute mentale.
Patofobia, nosofobia e ipocondria sono termini che hanno un significato simile, ma vediamo quali sono le differenze che li contraddistinguono.
La nosofobia e l’ipocondria sono entrambe condizioni in cui una persona ha una preoccupazione eccessiva per la propria salute. La nosofobia si riferisce però alla paura irrazionale di una malattia specifica, come la paura di avere un tumore, l’HIV, il morbo di Alzheimer o altre condizioni specifiche.
La patofobia è la paura irrazionale e persistente di ammalarsi o di contrarre una malattia mortale, anche in assenza di sintomi o segni di malattia. Questa paura può interferire con la vita quotidiana e portare a comportamenti evitanti o ipervigilanza costante per segni di malattia.
In sintesi, sia nosofobia che patofobia possono essere presenti nell’ipocondria come in altre condizioni di salute mentale in cui è presente una costante preoccupazione per le malattie (ad esempio il disturbo da sintomi somatici o il DOC con ossessioni somatiche).
L’ipocondria e il disturbo da sintomi somatici (DSM-5) sono due termini che si riferiscono a condizioni in cui una persona manifesta una preoccupazione eccessiva per la propria salute, ma ci sono differenze nella loro definizione e classificazione.
Il disturbo da sintomi somatici (o ipocondria psicosomatica) come definito nel DSM-5, riguarda sia la presenza di sintomi somatici che provocano disagio sia le loro conseguenze emotive, cognitive e comportamentali quali:
Nel caso dell’ipocondria psicosomatica, i sintomi fisici sono spesso attribuiti a una malattia grave o a una condizione medica pericolosa e sono vissuti in modo reale. Le persone con ipocondria psicosomatica possono cercare frequentemente l’assistenza medica, sottoporsi a numerosi esami diagnostici e visitare diversi specialisti nel tentativo di ottenere una conferma della presunta malattia.
Entrambi i disturbi sono caratterizzati da una preoccupazione eccessiva per la salute, ma il disturbo da sintomi somatici si concentra più specificamente sui sintomi fisici sperimentati. Se infatti i sintomi sono minimi o non sono presenti, la diagnosi appropriata è quella di disturbo d’ansia da malattia o ipocondria.
Le persone con ipocondria hanno una paura continua ma irrealistica di essere gravemente ammalate. Le malattie specifiche di cui si preoccupano, spesso, cambiano nel corso del tempo e si intervallano tra loro.
Si deve inoltre tenere presente che alcune persone con ipocondria possono effettivamente avere una malattia fisica diagnosticata, ma possono ritenere che la loro condizione sia più grave di quanto non lo sia.
I sintomi dell’ipocondria includono:
1) evitamento di persone o luoghi a causa della preoccupazione di contrarre una malattia
2) ricerca costante di malattie e sintomi anche sul web (quando la ricerca ossessiva di sintomi si svolge su internet possiamo parlare di cybercondria)
3) esagerazione dei sintomi e della loro gravità (per esempio, una tosse diventa un segno di cancro ai polmoni)
4) elevato livello di apprensione per la salute personale e conseguenti possibili attacchi d’ansia
5) ossessione per le normali funzioni del corpo, come la frequenza cardiaca
6) condivisione eccessiva dei propri sintomi e del proprio stato di salute con gli altri
controllo ripetuto dei possibili segnali di malattia, come misurare la pressione sanguigna o la temperatura o altri check up
7) ricerca continua di rassicurazione dai propri cari sui sintomi o sulla salute
disagio nei confronti di funzioni corporee sane, come la sudorazione, che viene acuita ulteriormente nel circolo vizioso della preoccupazione e rimuginio dell’ipocondriaco (ne è esempio la sudorazione notturna da ansia)
8) variazione di peso: ipocondria e perdita di peso possono essere correlate all’ansia che la paura della malattia può provocare.
Da cosa nasce l’ipocondria? Le cause esatte dell’ipocondria non sono completamente comprese, ma si ritiene che sia influenzata da una combinazione di fattori biologici, psicologici e ambientali. Tra questi vi sono:
1) predisposizione genetica: alcune persone potrebbero avere una maggiore probabilità di sviluppare l’ipocondria a causa della loro ereditarietà genetica
2) esperienze di vita: eventi stressanti o traumatici, come la perdita di una persona cara, un grave problema di salute o un’esperienza medica negativa, possono contribuire allo sviluppo dell’ipocondria
3) stili di pensiero distorti: modelli di pensiero distorti, come la tendenza a catastrofizzare o drammatizzare i sintomi fisici
4) fattori psicologici: l’ipocondria può avere cause psicologiche che fungono da elementi predisponenti come un’idea di sé come fisicamente vulnerabile, problemi di autostima, insicurezza e paura dell’incapacità di controllare la propria salute
apprendimento e condizionamento: l’osservazione di comportamenti ipocondriaci in familiari o l’accesso a informazioni mediche negative o catastrofiche possono influenzare il modo in cui una persona percepisce e interpreta i propri sintomi fisici
ambiente sociale: un ambiente sociale che enfatizza eccessivamente la preoccupazione per la salute o che attribuisce un alto valore alla malattia può aumentare il rischio di sviluppare l’ipocondria.
Anche l’epidemia di Coronavirus e la conseguente ansia da COVID ha costituito una delle cause per lo sviluppo dell’ipocondria, come evidenziato dallo studio di Wang e colleghi, dal momento che per lungo tempo si è parlato dell’alta contagiosità della malattia, così come dalle sequele a cui questa poteva portare.
A ogni modo, le statistiche evidenziano che il 4-5% dei pazienti negli studi medici pubblici soffre di ipocondria; tuttavia, vi è un’elevata probabilità che la malattia da coronavirus possa aver causato tassi più elevati di ipocondria a causa della sua elevata prevalenza e delle sue dimensioni sconosciute.
Uno dei disturbi d’ansia più comuni con cui l’ipocondria può essere correlata è il disturbo d’ansia generalizzata (GAD). Il GAD si caratterizza da una preoccupazione eccessiva e persistente su molteplici eventi o situazioni, accompagnata da sintomi come tensione muscolare, irrequietezza, difficoltà di concentrazione e disturbi del sonno.
Altre condizioni con cui l’ipocondria può essere correlata includono il disturbo di ansia sociale e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). In queste condizioni, l’ipocondria può essere considerata come una delle preoccupazioni specifiche che contribuiscono all’ansia generale sperimentata dalla persona.
La relazione tra disturbo ossessivo compulsivo e ipocondria può essere complessa. In alcuni casi, i pensieri ossessivi sulle preoccupazioni legate alla salute possono alimentare l’ipocondria, portando a un’ansia costante riguardo alla propria condizione fisica.
Le compulsioni nel DOC possono anche portare all’assunzione di comportamenti correlati alla salute, come il controllo ripetitivo del corpo o la ricerca ossessiva di informazioni mediche, che possono sovrapporsi con l’ipocondria.
Come abbiamo visto, l’ipocondria può essere una delle preoccupazioni che affliggono le persone con GAD, amplificando l’ansia generale e focalizzandosi sulla salute. Un’altra possibile correlazione si verifica con i disturbi di panico. Gli attacchi di panico e l’ipocondria sono due disturbi distinti ma, in alcuni casi, possono essere correlati.
La connessione tra attacchi di panico e ipocondria può essere spiegata in diversi modi: in alcuni casi, un individuo che ha vissuto un attacco di panico potrebbe sviluppare la paura di avere una malattia grave come conseguenza dell’esperienza spaventosa dell’attacco stesso.
L’ansia e la paura associate agli attacchi di panico possono amplificare la preoccupazione ipocondriaca e portare a una maggiore attenzione ai sintomi corporei normali, interpretandoli erroneamente come segni di malattia.
Allo stesso tempo, l’ipocondria può anche aumentare l’ansia e lo stress, che possono scatenare attacchi di panico. La preoccupazione costante per la propria salute può alimentare un circolo vizioso in cui gli attacchi di panico si verificano come risposta all’ansia ipocondriaca, alimentando ulteriormente la preoccupazione e l’ansia.
È importante sottolineare che non tutte le persone con attacchi di panico sviluppano ipocondria e viceversa. Tuttavia, la presenza di uno di questi disturbi può aumentare il rischio di sviluppare l’altro.
La relazione tra ipocondria e depressione può essere complessa e bidirezionale. Da un lato, l’ipocondria può contribuire allo sviluppo o all’aggravamento dei sintomi depressivi. La preoccupazione costante per la salute può portare a un aumento dell’ansia, dell’incertezza e del malessere emotivo, che possono influire negativamente sull’umore e sulla qualità della vita.
La paura di avere una malattia grave può creare un carico emotivo significativo e aumentare la sensazione di disperazione. D’altra parte, anche la depressione può influenzare l’ipocondria. La depressione è caratterizzata da sintomi come tristezza persistente, perdita di interesse, sensazione di vuoto emotivo, perdita di energia e cambiamenti nell’appetito e nel sonno.
Questi sintomi possono ridurre la capacità di una persona di gestire l’ansia e le preoccupazioni riguardo alla salute, rendendo più probabile lo sviluppo dell’ipocondria. La relazione tra ipocondria e depressione può creare un circolo vizioso in cui i sintomi di entrambe le condizioni si rafforzano reciprocamente.
L’ipocondria nei bambini può presentarsi in modo diverso rispetto agli adulti. I bambini possono essere ipersensibili alle sensazioni fisiche e attribuire un significato esagerato a sintomi o piccoli disturbi comuni.
È importante sottolineare che l’ipocondria nell’infanzia può essere influenzata dall’ambiente familiare: un contesto in cui i genitori sono ansiosi riguardo alla salute può contribuire allo sviluppo di tale disturbo nei bambini.
Nell’adolescenza, l’ipocondria può manifestarsi in modo simile a quanto accade negli adulti. Gli adolescenti possono essere particolarmente influenzati dai media, che spesso presentano notizie e informazioni mediche allarmanti.
Questo può aumentare l’ansia riguardo alla propria salute e contribuire all’insorgenza di pensieri ipocondriaci. Inoltre, i cambiamenti fisici e psicologici in adolescenza possono far sorgere preoccupazioni riguardo all’aspetto fisico e alla conformità agli standard di bellezza, che possono alimentare l’ipocondria.
Nell’anzianità, l’ipocondria può diventare più comune a causa dei cambiamenti fisici e delle malattie croniche che spesso accompagnano l’invecchiamento. Le persone anziane possono essere più sensibili alle sensazioni fisiche e interpretarle in modo negativo, temendo che possano essere segni di malattie gravi.
Inoltre, l’isolamento sociale e la perdita di amici o familiari possono contribuire all’ansia e alle preoccupazioni ipocondriache negli anziani.
SERGIO  DEMURU